giovedì, marzo 01, 2007

Loredana Rosa
prima classificata

SFILATO SICILIANO

Aprì gli occhi al rumore della pioggia sui vetri e la prima cosa che vide furono le sua mani abbandonate in grembo. Si era addormentata senza accorgersene mentre, seduta dietro la finestra, lavorava all'uncinetto: due catenelle, un punto alto, due catenelle,un punto alto, due catenelle, quattro punti alti; ormai le succedeva sempre più spesso di appisolarsi così, il capo reclinato sul petto, la presa sul lavoro e sull'uncinetto allentata. Rimase a guardare le sue mani, non sembravano mani di vecchia, pensò con orgoglio, le giunture erano un po' più nodose, la pelle aveva perso il candore e la morbidezza di un tempo e i movimenti erano meno elastici, però erano sempre delle mani bellissime, la cosa più bella di lei che bella non era mai stata.
Sollevò il capo e guardò fuori dalla porta-finestra che dava direttamente sulla strada, pioveva forte. Le prime piogge autunnali erano sempre così, dopo l'arsura estiva diluviavano all'improvviso certi rovesci così fitti che l'acqua arrivando a terra rimbalzava alta rompendosi in mille altre gocce, formando un pulviscolo danzante che nascondeva il selciato e dava un'aria irreale al muro della casa di fronte che sembrava levitare alleggerito dal suo peso. Quanti anni, quanti giorni, quante ore, dietro quei vetri, quanti punti, quante gugliate, le matassine di filo pregiato, i teli di lino, l'organza, e le sue mani, la sinistra sotto la destra sopra il telaio e l'ago sottilissimo su e giù attraverso la stoffa tesa seguendo il disegno impresso con lo spillo e la polvere blu (l'azzolo).
Riprese il lavoro con l'uncinetto e il filo di cotone, ormai non poteva più ricamare , le dita non avevano la sensibilità necessaria per tenere l'ago da ricamo né la precisione del gesto indispensabile a fare penetrare l'ago nel punto esatto in cui doveva e anche la vista, malgrado gli occhiali, non l'aiutava più come una volta. Era successo anche a sua madre e a sua nonna, ma come lei non avevano fermato le loro mani, le donne della sua casa avevano mani “trillanti”, come il suono di una campanella d'argento (questa storia della campanella d'argento l'aveva letta su di un giornale del nord al tempo della lotta) e lei ci pensava sempre durante la messa quando suonava l'offertorio. Una volta lo aveva detto al prete in confessione e lui le aveva risposto che faceva peccato di superbia, ma se lei le sue mani le offriva al Signore? Erano la parte più bella e più buona di lei, non era superbia, era la verità. Il parroco l'aveva assolta con un frettoloso “tre ave, padre e gloria”.
La pioggia continuava, si stava facendo scuro, avrebbe dovuto accendere la luce ma era troppo presto, conservava l'abitudine antica di risparmiare la corrente elettrica, anche in ciò come sua madre e sua nonna. In quella oscurità prematura fu assalita da ricordi lontani e non vi si oppose.

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Maria, si chiamava così in onore della Madonna "bambina" che si festeggia l'8 settembre, era figlia unica, anche sua madre e sua nonna erano figlie uniche e si chiamavano Grazia e Addolorata, come altre Madonne che si festeggiano in altri giorni. Addolorata era nata nel 1890 e quando sua madre dopo due anni era morta di parto insieme a quell'altra sua creatura, era stata portata dalle suore ed era cresciuta senza amore ma anche senza dolore, educata all'obbedienza e al lavoro. Aveva un carattere docile e questo le aveva evitato punizioni e sofferenze, era intelligente e attenta per cui imparava subito, le suore le insegnarono l'arte del ricamo e le sue mani, salvate dall'acqua fredda e dalla liscivia, furono mani bianche e morbide e lei non andò "a servizio" come la maggior parte delle sue compagne. Malgrado non avesse la vocazione si sarebbe fatta suora perché non avrebbe saputo cos'altro fare, ma il sacrestano della Chiesa della Madonna delle Grazie chiese al parroco di trovare una giovane timorata per suo nipote Vastiano, figlio di sua sorella morta da poco, che perciò doveva sposarsi subito. Il parroco, che conosceva le orfane del convento, scelse lei perché non era "figlia di nessuno", aveva un buon carattere e la "dote" nelle mani.
Addolorata sposò quel giovane silenzioso che andava via all'alba e tornava al tramonto, mangiava e andava a letto. A volte di notte si svegliava perché sentiva che le si metteva addosso e dopo avere finito tornava dalla sua parte di letto. Lei faceva ogni volta come le aveva detto la moglie del sacrestano : “Quando lui si mette sopra di te allarga le gambe e lascialo fare”. La prima volta aveva sentito dolore poi più niente, ci mise un po' a capire cosa succedeva, poi una mattina si sentì male, vomitò e chiese aiuto ad una vicina. Grazia nacque nel 1911, era bellissima, era il miracolo che non aveva mai chiesto, era una grazia speciale che pensava di non meritare, per tutta la vita non si lamentò mai di nulla convinta di essere sotto la speciale protezione della madonna delle Grazie. In realtà la sua vita era piena solo di stenti e di lavoro, i tempi erano sempre più difficili e il marito decise di andare in America dove aveva un cugino. Due giorni prima di partire lui si sedette accanto a lei, le diede un po' di soldi e le disse che appena possibile ne avrebbe mandati degli altri. Sebastiano non sapeva né leggere né scrivere, il vaglia doveva bastarle per sapere che era in buona salute e che voleva bene a lei e a Grazia. Le chiese di scrivere su di un pezzo di carta “ stiamo bene” , ogni volta che riceveva i soldi doveva scrivergli esattamente così, lui l'avrebbe confrontato con questo e avrebbe saputo che i soldi erano arrivati, era inutile che scrivesse altro perché non voleva farsi leggere le lettere dagli estranei. I soldi che le mandava non doveva usarli se non in caso di estrema necessità, doveva vivere con quello che guadagnava con il ricamo o avrebbe dovuto cercarsi dell'altro lavoro, i soldi li doveva mettere alla posta e appena raggiunta la cifra necessaria avrebbe comprato la casa dove abitavano, poi quella accanto, poi l'orto dietro la casa. Addolorata non lo aveva mai sentito parlare tanto e, un po' intimidita, fece di si con la testa. Il giorno della partenza dopo avere aperto la porta lui si girò a guardare: la stanza, la bambina, lei, si calò il berretto sugli occhi, si caricò il fagotto sulle spalle e se ne andò scomparendo nel buio della strada. Mentre richiudeva la porta Addolorata guardò le sue mani e pensò che non aveva mai toccato suo marito. Diventò una “vedova bianca” come tante altre in paese. I soldi arrivarono regolarmente e lei si attenne alla promessa fatta. La Grande guerra passò lontana, a lei arrivava solo il dolore delle altre donne che avevano i mariti e i figli soldati e che poi non li avevano più.
Grazia cresceva buona e ubbidiente come era stata lei, non uscivano mai, se non per il lavoro e la messa la domenica alle sei di mattina. A quattro anni Grazia sapeva già orlare i fazzoletti e sfilare il tessuto, a cinque le sue piccole mani paffute facevano il punto a giorno. Andò a scuola quando finì la guerra e fu una scolara diligente. Finita la sesta classe tornò alla vita di prima della scuola: casa, ricamo e messa delle sei. A scuola il carattere schivo e la timidezza le avevano impedito le infatuazioni tipiche dell'età, non aveva amiche del cuore, non andava a passeggio nei giorni di festa e non partecipava ai misteriosi conciliaboli delle sue compagne durante la ricreazione; aveva la sua mamma, il ricamo e qualche libro che prendeva dalla biblioteca della scuola. Addolorata insegnò a Grazia l’arte del ricamo e quando si accorse che era diventata più brava di lei, la sollevò da qualsiasi altra incombenza. Le insegno ad amare e curare le sue mani, a considerarle un dono prezioso, a mantenere la pelle morbida con l’olio d’oliva, a non immergerle nell’acqua troppo calda o troppo fredda, a salvarle dai geloni durante il freddo invernale e a proteggerle dal fuoco del braciere, ad adoperare con attenzione i coltelli, a non toccare la terra e gli animali. Così Grazia cresceva diversa da tutte le altre ragazzine mentre Addolorata, pur continuando a ricamare, si faceva carico di tutto il resto, arrotondando il piccolo guadagno con i servizi ad alcune famiglie, non lavori pesanti ma di fiducia come fare la spesa, stirare i capi di biancheria fine e, poiché sapeva leggere e scrivere, scriveva per chiunque lo volesse, non si faceva pagare, ma tra i poveri la gratitudine è sempre tangibile per cui riceveva dei piccoli doni: verdure, formaggio, frutta, dolci, olio, che per il loro magro bilancio erano una risorsa importante.
Il vaglia dall’America arrivava regolarmente, Addolorata mantenne la promessa e comprò la casa (appena una stalla, che non avevano mai usato come tale perché non avevano mai avuto animali, con una stanza sopra), comprò anche la casa accanto (uguale alla sua) e l’orto. Non parlava mai del marito e Grazia non osava chiedere, quando arrivavano i soldi la madre diceva: "Tuo padre sta bene e ti benedice". Poi il vaglia non arrivò più e le disse:"Tuo padre è morto. Pace all'anime sua." La loro vita non cambiò.
Addolorata non aveva mai coltivato l'orto, quel lavoro le avrebbe sciupato le mani e ancora meno avrebbe permesso a Grazia di farlo, per cui lo vendette e con il ricavato comprò un'altra piccola casa che affittava. Grazia era diventata una ricamatrice bravissima, specializzata nella lavorazione in oro e argento dei paramenti sacri, le suore erano le sue intermediarie, le commissionavano stole, piviali, pianete che vestivano vescovi e cardinali, tovaglie d'altare che andavano in tutto il mondo. Gli anni passavano e nessuno la chiedeva in moglie, con quelle mani da signora e il suo riserbo non piaceva alle madri dei giovanotti che la stimavano superba e di giovanotti non ne conosceva perché neanche il fascismo con le sue adunate e parate l'aveva portata fuori casa. Nella primavera del 1934 andò al convento per consegnare un lavoro e conobbe Giovanni, autista di un gerarca della capitale, che aveva accompagnato la moglie di costui che voleva fare ricamare della biancheria. Fu amore a prima vista, si sposarono alla fine dell'estate e Giovanni andò a vivere con le due donne. In paese non c'era molto da fare per uno come lui, così si arruolò volontario e partì con il primo contingente militare per l'Abissinia, convinto che la guerra sarebbe stata breve, la vittoria immancabile e il guadagno sicuro. Andò via a febbraio lasciando Grazia in lacrime e incinta di cinque mesi. Maria nacque a maggio del 1935, un mese prima del termine, era piccolissima ma sopravvisse. In autunno arrivò un telegramma che annunciava la morte di Giovanni "caduto nell'adempimento del suo dovere di soldato" la Patria grata assegnava alla vedova una pensione. <> pensò Addolorata ma non lo disse, aspettò che il dolore di Grazia si placasse e intanto si occupava di Maria, il secondo miracolo della sua vita.
Maria crebbe timidissima, bastava niente per atterrirla, le difficoltà la avvilivano, gli estranei la sconvolgevano, così la vita di quelle tre creature divenne ancora più riservata e silenziosa. Con gli anni imparò a gestire le sue paure ma non le superò mai del tutto.
La guerra fu dura anche per loro ma se la cavarono meglio di tanti altri. Malgrado non ci fosse molto lavoro non smisero mai di ricamare, di curare le loro mani e di volersi bene in un modo silenzioso e severo.

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Smise di piovere all'improvviso, il cielo si aprì all'ultimo sole e alcuni raggi brillarono sui vetri della finestra di fronte. In un'altra casa un'altra finestra si aprì e si udì il grido di un bambino: "Mamma ha smesso di piovere. Scendo a giocare?". Maria non aveva mai giocato per strada: "Noi non lo usiamo", con queste parole la nonna e la madre ponevano un limite invalicabile. Non si usavano i vestiti scollati, i capelli corti, il "passeggio", il rossetto, i tacchi alti e non si usava fare inviti, chiacchierare sedute senza far niente. Anche nelle sere d'estate, caldissime, senza un filo d'aria, mentre le altre donne sedute davanti le case si facevano vento con i grembiuli, loro lavoravano, lavori meno impegnativi, "andanti" diceva la nonna, ma non fermavano le loro mani e più che parlare ascoltavano, sempre un po' meravigliate da tutte quelle parole che si rincorrevano per la strada interrotte da risate e sospiri altrettanto sorprendenti.
Una volta al mese passava Cannabuciu, faceva la "cerca" per il convento, era una donna senza età, Addolorata diceva che era sempre stata così anche quando lei era piccolina, portava nei capelli tantissime mollette, tutte quelle che trovava, aveva un vocione maschile e parlava in modo quasi incomprensibile, Maria ne era spaventata malgrado la nonna la rassicurasse e quando la sentiva arrivare andava a nascondesi sotto il letto e da li vedeva le sue scarpe pesanti, sformate e grandi e le sue gambe grosse coperte dalle calze di lana, l'ultima volta che la vide provò una gran pena perché piangeva disperata, non voleva andar via e aveva perduto tutte le sue mollette. Fu alla fine degli anni '50, il convento non era mai stato ricco e le elemosine non erano mai state particolarmente generose, ma la povertà in paese si era fatta più cattiva e la crisi delle vocazioni non consentiva di tenere aperto l'orfanotrofio, così l'Ordine trasferì le suore e chiuse il convento. Fu un brutto colpo anche per loro, ricevere e consegnare il lavoro diventò difficile, perciò dovettero contentarsi del lavoro che proprio in quegli anni cominciò ad arrivare in abbondanza. Al ricordo Maria sentì la stessa umiliazione di allora: le loro mani straordinarie, la loro bravura, la tradizione, calpestate, corrotte; i punti perfetti, le stoffe pregiate, i fili preziosi, sviliti dalla fretta, impoveriti dall'incompetenza di quelli che li giudicavano. Chiunque poteva ricamare e chiunque ricamava. Il lavoro era tanto ma pagato pochissimo e molto spesso gli "intermediari" non davano neanche quei quattro soldi, facevano "il cambio merce", erano tutti commercianti di tessuti e in cambio del lavoro di ricamo davano stoffe, coperte, lana, al prezzo deciso da loro, guadagnando così due volte.

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La sera aveva invaso la strada, il lampione più vicino era spento da alcuni giorni, Maria non si alzò per accendere la luce e all'improvviso sentì un guizzo, quel battito d'ali che partiva dal centro del petto e scendeva fermandosi in mezzo alle gambe, indugiando finché un respiro profondo non lo risucchiava facendolo sparire. Arrossi, da quanto tempo non lo provava! se n'era dimenticata. La prima volta si era spaventata, poi aveva capito che le succedeva quando pensava a lui, dopo tanti anni non riusciva a pronunciare il suo nome, nemmeno a ripeterlo in silenzio dentro di se.
Era stato tutto così improvviso, così veloce, pauroso ed eccitante, sconvolgente, aveva cambiato la sua vita, quella sua "altra vita", ne aveva come il ricordo di un sogno, come se non fosse successo a lei ma lo avesse visto in televisione. Non ricordava come fosse cominciata "la lotta", né come lei vi fosse rimasta coinvolta, ricordava l' andare da una casa all'altra per chiamarsi e chiedere notizie, il darsi appuntamenti alla Camera del lavoro, le ore passate davanti al Municipio, i cortei, Palermo, Roma. Sentì la stessa rabbia, la stessa esaltazione. Giustizia, giustizia, il lavoro delle donne che ricamano in casa deve essere pagato per quello che vale, vogliamo i contributi, vogliamo sapere per chi lavoriamo realmente, siamo lavoratrici dipendenti. Ancora non riusciva a capacitarsi di come avesse fatto a fare tutte quelle cose, a stare in mezzo a tutte quelle donne, a guardare negli occhi tutta quella gente senza abbassare lo sguardo. Aveva quasi quaranta anni e si sentiva così... così... viva e lui era li davanti al bar a guardarle, con gli amici a darsi di gomito indicandole con i movimenti della testa, uomini con metà dei suoi anni, sconosciuti, misteriosi. Lei uomini da vicino ne aveva visti pochi, quelli che conosceva meglio erano quelli che vedeva in televisione, nei romanzi sceneggiati, nei film, e anche dell'amore sapeva solo quello che aveva visto in televisione, come già sua madre prima di lei non osava chiedere. Quel ragazzo sfrontato era uguale ma anche diverso dagli uomini della televisione e poi lei sentiva i suoi occhi, sentiva che la vedeva. Una volta era passato davanti alla sua porta e il suo cuore si era fermato per riprendere poi a battere in modo precipitoso e facendole mancare il respiro, si era punto un dito. Non le era mai successo, non doveva succedere mai, non quando ricamava, le macchie di sangue non vanno mai via, il lavoro avrebbe potuto rovinarsi irrimediabilmente, ma per fortuna il lenzuolo che stava ricamando non si macchiò e nessuno si accorse di nulla. Così come era venuto quel turbine era passato e non ricordava come né perché. Si era ritrovata di nuovo seduta dietro i vetri a ricamare, a curare le sue mani, a sentire il respiro affannoso di sua nonna che segnava il silenzio della notte. Lui non l'aveva più visto. Se ne era andato come tanti altri, come suo padre e suo nonno.
La luce dei fari di un'auto cadde sulle sue mani e all'improvviso provò qualcosa che non aveva mai provato, un masso enorme le pesava sul petto, un singhiozzo le salì dal cuore, fu invasa da un'angoscia irrefrenabile e pianse come non aveva mai pianto, neanche quando era morta sua madre, con il dolore centuplicato dal dolore di sua nonna che non si era mai più ripesa. Le sue inutili mani vuote come la sua vita, non erano servite a nessuno nemmeno a lei che sarebbe morta sola come era vissuta; incrociò le braccia e nascose le mani sotto le ascelle, dondolando piano il busto avanti e indietro, continuando a piangere inconsolabile, emettendo un lamento soffocato che le lacerava l'anima.
Pian piano il dolore passò, il pianto cessò e Maria si sciolse da quel suo stesso abbraccio terribile che l'aveva quasi soffocata, la stanza era appena rischiarata dalla luna, si alzò e accese la luce. Ancora una volta guardò la sua mano che indugiava sull'interruttore, sollevò anche l'altra e la posò sul muro: <> Tutti quei punti, il bianco raffinatissimo, il colorato elegante e allegro, aveva visto la gioia e l'orgoglio delle madri nell'ammirare i pezzi del corredo che lei aveva ricamato, la meraviglia e la speranza delle figlie in una vita altrettanto ricca di bellezza. Quei corredi sarebbero durati nel tempo, consegnati da mani di donne ad altre donne, conservati con cura e con amore, piccoli tesori, capolavori di un'arte minore chiusi dentro cassapanche, profumati di lavanda.
Andò verso la portafinestra e chiuse le imposte.